A Fratte Rosa, piccolo paese tra le colline pesaresi, gli abitanti sostengono che le fave migliori siano quelle coltivate sui "lubachi", ovvero i terreni ricchi di argilla bianca che caratterizzano il territorio e che hanno dato origine a due produzioni tipiche: i "cocci" e le fave.
Il paese, infatti, è noto fin dall’epoca romana per la produzione di terrecotte e per la tradizionale coltivazione di fave. Nei secoli, i contadini del luogo hanno selezionato un ecotipo dal caratteristico baccello corto, che contiene in media 4 semi, grandi e rotondeggianti, dal gusto dolce e teneri anche a piena maturazione.
La fava di Fratte Rosa si semina a ottobre, la pianta raggiunge un’altezza di circa 80 centimetri e porta a maturazione il seme ceroso all’inizio di maggio, mentre per il seme secco si deve aspettare il mese di giugno. Si coltiva solitamente in rotazione con orticole e cereali, senza apporti di azoto e potassio e senza irrigazione se non in casi di estrema necessità. I produttori del presidio si sono impegnati a non effettuare diserbo chimico ma solo meccanico, per evitare l’avversità più comune ovvero l’orobanche, una pianta infestante.
Per decenni ha rappresentato un alimento base per la popolazione locale: fresca o secca era ingrediente di molte ricette casalinghe, trasformata in farina e miscelata con la farina di grano serviva per produrre pane e pasta, ed era anche usata per alimentare gli animali.
I "tacconi ", ancora oggi realizzati a Fratte Rosa, sono un formato di pasta realizzato con una percentuale di farina di fave che oscilla tra il 30 e il 50%. Il nome deriva probabilmente dalla somiglianza con le strisce di cuoio che avanzavano dalla rifilatura delle suole delle scarpe per i tacchi. L’impasto, quando raggiunge il giusto grado di elasticità, viene steso, arrotolato e tagliato a strisce sottili; il condimento classico è il sugo ai funghi. Le fave si consumano anche nella "baggiana", una minestra di verdure (bietole, cicorie, barba di frate) a cui si uniscono in cottura le fave secche lessate e sbucciate. E sono l’ingrediente principale dell’antica ricetta marchigiana “fave in porchetta”, a base di fave fresche, finocchio selvatico, pancetta di maiale.
(foto dal sito www.fondazioneslowfood.com)